Cari amici di Sanraffa,

è arrivato il tempo dei saluti. Permettetemi perciò di accompagnare questa mia lettera con alcune parole più personali e interiori.
Diciotto anni sono un tempo cospicuo per disegnare una storia importante. Cosa mi porto nello zaino in questa nuova partenza?
Prima di tutto la grande umanità della nostra gente. Ed allora i ricordi vanno prima di tutto alle scelte dei primi anni. Avevo pensato di venirvi a trovare casa per casa, famiglia per famiglia perché ho desiderato da sempre poter conoscere le persone che vivono attorno a casa mia. La parrocchia è la fontana del villaggio, la casa comune ed il nostro quartiere, l’Ina casa, è proprio un grande villaggio, dove tutti ci si conosce e ci si frequenta; dove tutto è in comune. Ricordo spesso questo aneddoto della prima estate, quando di ritorno dall’ennesimo campeggio con tanto di barba lunga, qualcuno venendo a messa disse che evidentemente dovevo avere un fratello missionario. Semplicemente non mi avevano riconosciuto, perché a tutto ci deve essere una spiegazione, anche alla barba del prete.
Poi vorrei ricordare i preti che mi hanno preceduto, don Sergio e don Andrea. Di don Sergio conservo nel cuore le grandi intuizioni sulla messa come centro di una comunità parrocchiale e della comunione come stile che accompagna l’agire pastorale. Di don Andrea, che mi ha accompagnato per tanti anni, conservo la presenza vigile e generosa verso questa parrocchia che ha fondato ed aiutato a crescere in ogni aspetto, sia materiale (pensiamo alle opere che il don ha sostenuto e promosso), sia spirituale (sono celebri le sue catechesi nelle omelie…).
Sono venuto da voi all’inizio della mia maturità umana e pastorale ed il nostro quartiere era ancora densamente popolato. In questo tempo ho accompagnato tante persone nei passaggi fondamentali della vita, la nascita, le scelte di vita, il saluto da questa terra. Di tutti conservo vivo nella memoria il ricordo indelebile. Spesso mi vengono in mente le passeggiate in bicicletta, che facevo soprattutto in estate, per salutare i nonni del quartiere affacciati sui balconi e nei giardini delle loro case.
Non voglio neppure dimenticare i numerosi collaboratori della nostra parrocchia. Tanti si sono prodigati, tanti tuttora spendono energie, tempo, passione per rendere “vivibile e calda” la nostra comunità. Il ricordo va a chi opera nella pastorale e nell’educazione sino agli amici del GT (Gruppo Tecnico). Vi chiedo perdono per tutte le volte che non vi ho accolto, che ho superato il limite del rispetto e della equilibrata paternità.
Un pensiero anche a don Eugenio che proseguirà il cammino con voi, accoglietelo con simpatia e spirito di collaborazione. Siamo tutti nella stessa barca… quella barca che accoglie Gesù ed i suoi discepoli; anche se lui alle volte pare addormentato! Come ci ricorda il vangelo.

Bilo
(Questa volta mi firmo con il mio soprannome, ormai sinonimo della mia persona)


Cari amici di San Raffaele,

se è vero che lo Spirito Santo sta presso ciascuno di noi per difenderci, lui guiderà i nostri passi. «Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). È la parola del Vangelo del giorno in cui ho ricevuto dal Vescovo Francesco il mandato a diventare parroco a San Raffaele, una parrocchia che conosco e apprezzo da quando sono al Crocifisso.
Ho 40 anni. Sono entrato in seminario dopo essermi laureato in Economia e gestione aziendale all’Università di Bologna. Di recente mi sono specializzato in Teologia delle Comunicazioni Sociali alla Pontificia Università Lateranense e ho iniziato il dottorato.
Ora si apre un nuovo capitolo. Ogni cambiamento porta con sé il dolore del distacco e la gioia della novità. Trovo singolare che mi succeda di diventare parroco per la prima volta proprio ai tempi del COVID. A Dio non manca certo il senso dell’umorismo…
Prima di venire da voi sono stato viceparroco al Crocifisso per 4 anni più un anno come diacono. Mi sento chiamato a imparare tanto e a mettere a disposizione ciò che sono. Penso che il parroco debba essere anzitutto padre di una comunità, fatta da figli e non da “numeri” da gestire. Ciascuno di voi rappresenta un frammento importante e prezioso del volto di Gesù, la cui storia – per un mistero grande – chiede di essere intrecciata con la mia.
Arrivo raccogliendo frutti abbondanti di Grazia seminati in tanti anni dalla passione, entusiasmo e sincerità di Bilo (originario come me di Riccione, parrocchia san Martino). Oltre a essere confratello e amico, mi è molto caro e lo stimo molto.
Nel cambiamento ci si apre davanti un libro da scrivere a più mani: risente di una storia, ha pagine già scritte, e altre nuove. Questo avverrà con le mani della comunità, quelle del suo pastore, ma anzitutto con le mani premurose del Padre.
Vengo tra voi per condividere le vostre storie, come mi sarà possibile, coi miei limiti e i doni che il buon Dio mi fa. Prego che non ci manchi la gratitudine per la Grazia che Dio semina tra noi. Per questo vi chiedo la preghiera, per me e il mio ministero: senza il Signore Gesù – dice Giovanni – non possiamo fare nulla.
Preghiamo insieme, perché possiamo sentire la voce del Buon Pastore che pensa già per ciascuno di noi un percorso bello in cui incontrarLo vivo e presente, nell’Eucarestia, nella vita comunitaria e nei sacramenti. Perché non ci manchi la capacità di mantenere ciò che di buono il Signore ci ha fatto sperimentare. E neppure il coraggio di saper osare, contro schemi che chiedono di essere cambiati, seguendo la Luce dello Spirito. Né ci manchi il tempo di gustare assieme un caffè, un gelato, un sorriso, il chiarimento e il perdono reciproco.
Tutti nella Chiesa siamo chiamati a fare la nostra parte, come corresponsabili, uniti nell’unico Signore Gesù. Con missioni e ministeri diversi, siamo tutti di Dio, chiamati alla comunione. In attesa di farlo personalmente, mando a ciascuno un forte abbraccio. Nessuno manca nella mia preghiera e nell’offerta della Messa: ho iniziato dal giorno in cui ho appreso la notizia dal Vescovo. Si apre davanti a noi un tempo fecondo, avremo modo di divertirci…

don Eugenio Savino

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